Il caso Uber: un “nuovo” caporalato anche per la responsabilità d’impresa

Il caso Uber: un “nuovo” caporalato anche per la responsabilità d’impresa

Mentre scriviamo questo (peraltro modesto) saggio, una sentenza e un caso di «cronaca 231», come vorremmo definirlo, si presenta con prepotente evidenza – riguardo alla fattispecie «caporalato» – sulla scena della giurisprudenza e del diritto. Fermo rimanendo che staremo sulle circostanze e non sulla colpevolezza, non ancora acclarata in via definitiva, il «caso Uber» farà parlare di sé, riguardando una delle più importanti realtà degli ultimi anni; impresa innovativa, nota per l’attività di noleggio di autovetture, avvicinabile al servizio taxi, con tutte le polemiche che ciò ha comportato nel rapporto di concorrenza (presuntivamente) sleale nei confronti delle storiche categorie – per l’appunto – dei tassisti e dei noleggiatori di servizi di trasporto persone. L’accusa è importante, le prove pure, di aver compiuto atti riconducibili alle previsioni dell’art. 603 bis c.p., ossia di aver realizzato «intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro» (d’ora in poi, breviter, caporalato) nei confronti dei riders (il mestiere del momento). La sezione delle misure di prevenzione del Tribunale di Milano ha disposto, con decreto n. 9/2020, l’amministrazione giudiziaria di Uber Italy srl, con iscrizione nel registro degli indagati, per responsabilità da 231, anche della Holding olandese.

L’articolo del Prof. Razzante riguardo il caso Uber:

03-2020-Caporalato-RAZZANTE