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Il reato di riciclaggio: quadro normativo

Il mio secondo articolo per la rubrica Mappe Giuridiche.
Il reato di riciclaggio è riconosciuto e punito, nel nostro ordinamento penale, dagli artt. 648-bis e ter, ma soltanto in seguito all’individuazione del reato presupposto. La giurisprudenza ha tuttavia chiarito che l’avvio del procedimento penale a carico dell’autore del delitto di riciclaggio è svincolato dall’avvenuto accertamento giudiziale della commissione del reato presupposto.
L’ipotesi criminosa del delitto di “riciclaggio” è stata introdotta con l’art.648-bis c.p. fin dal 1978, con la legge n.191, nella quale venivano individuate quattro tipologie di reato presupposto: rapina aggravata, estorsione, sequestro di persona e traffico di stupefacenti.
La tassatività dei reati di base comportava, però, sia problemi di natura interpretativa, sia di compatibilità con gli ordinamenti delle organizzazioni internazionali ma, soprattutto, si presentavano problemi dal punto di vista operativo.
Per ovviare a questi, non trascurabili, inconvenienti, la legge n.328/1993 modificava l’art. 648-bis adeguando le disposizioni della normativa a quelle della Convenzione di Strasburgo, stipulata l’8 novembre 1990. Tale Convenzione rappresenta l’acquisita e dichiarata consapevolezza della preoccupante dimensione del riciclaggio a livello mondiale, costituendo il cardine della (futura) azione di contrasto a tale fenomeno.
Il testo attuale dell’art. 648-bis è quello introdotto, appunto, dalla legge n. 328/1993, la quale ha ampliato le tipologie dei reati presupposto.
L’attuale formulazione insiste, soprattutto, sull’aspetto della dissimulazione dell’origine delittuosa dei proventi che vengono sostituiti o trasferiti, o in relazione ai quali vengono compiute altre operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della provenienza.
Dunque, affinché possa esservi incriminazione sulla base di tale norma, basta che il soggetto abbia volontariamente agito; in altre parole, occorre (ed è sufficiente) verificare la sussistenza del cosiddetto “dolo generico”, dispensando, in sede di indagine probatoria, dall’accertamento del dolo specifico. Bisogna appurare, cioè, che il soggetto abbia agito con la consapevolezza circa la provenienza delittuosa del denaro, o del bene, unita alla volontà di ostacolare ogni accertamento, circa la provenienza delittuosa di tali beni.
L’art. 648-ter, invece, è volto a contrastare e reprimere «l’impiego» di denaro, di beni o di altre utilità di provenienza illecita, introdotto nel codice penale dalla legge n. 55/1990, e successivamente modificato, anch’esso, dalla legge n. 328/1993.
Con tale previsione, l’intento del legislatore è volto specificatamente a criminalizzare la fase dell’articolato processo di «lavaggio» dei capitali, cioè la reimmissione, nei circuiti finanziari, dei flussi illeciti.
Pertanto, commette il delitto di «impiego di denaro, beni o altre utilità di provenienza illecita» il soggetto che:
Fuori dai casi di concorso nel reato e dei casi di ricettazione o riciclaggio, «impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto»;
Agisce volontariamente e con la consapevolezza della loro provenienza delittuosa.
A tal proposito, giova aggiungere che tutte le operazioni di riciclaggio, a partire dalle più semplici fino a giungere a quelle più complesse, sono accomunate tra loro da quattro elementi: occultamento della reale proprietà; modifica della «forma» del denaro; occultamento delle tracce; controllo costante sul denaro riciclato.